Ci sono luoghi al mondo che evocano la Storia in modo prepotente. Dalle mitiche città di Samarcanda, Bukhara e Khiva passarono mercanti, viaggiatori, filosofi e scienziati ma anche famosi condottieri e assassini. Una lunga traccia di sangue porta da Alessandro Magno a Gengis Khan, al suo discendente Tamerlano e attraverso altri meno famosi ma non meno spietati tiranni fino a Stalin. In tanti hanno distrutto e razziato, altrettanti hanno ricostruito sulle macerie monumenti sempre più grandiosi. Sono città nelle quali l’impermanenza è palpabile, il domani incerto.
Anche se ora c’è un’apparenza di prosperità, con i luoghi storici trasformati in gioielli fin troppo patinati, ho l’impressione che tutti siano consapevoli che è solo il pugno di ferro del nuovo khan Karimov che mantiene una fragile pace, fra tensioni islamiste, lotte per le risorse naturali, rivalità etniche e abusi dei diritti umani. E mi chiedo se fra dittatura e guerre civili non possa esistere una terza via, più saggia e meno dolorosa.