Rio de Janeiro, la splendida, scintillante Rio: già dall’aereo mi seduce, mostrandomi un superbo profilo di grattacieli disposti ad anfiteatro intorno a spiagge infinite, sotto lo sguardo benevolo del Cristo Redentore.
Trovo la città molto diversa da quella che ho conosciuto oltre vent’anni fa: più curata, forse solo in apparenza più sicura. Il panorama dal Corcovado è una cartolina giustamente celebre, Copacabana e Ipanema icone del sogno brasiliano, corpi abbronzati e seducenti che sorseggiano caipirinhas. Vado ad ammirare il tramonto dal Pan di Zucchero, unendomi a tutti i turisti nell’applauso al sole appena sceso.
La vista più straordinaria sulla città però mi viene mostrata da una baracca nella grande favela di Rocinha, un luogo che evoca De André più che Vinicius de Moraes: ladri, spacciatori e prostitute si spartiscono il territorio con chi cerca faticosamente di offrire un futuro migliore ai propri figli. Lì scopriamo come si vive dietro le quinte del rutilante sviluppo economico brasiliano: fogne a cielo aperto, topi e scarafaggi, individui armati e un tentativo di rapina, accanto a linde botteghe, case dignitose, bucati stesi e tanti sorrisi. Lo sgomento è però di breve durata: appena esco da Rocinha la città mi rapisce e sono già pronta per esplorare le meraviglie del giardino botanico, prima di farmi spennare in qualche carissimo ristorante alla moda.