Il remoto arcipelago di Raja Ampat, nella Papua indonesiana, viene descritto dai subacquei e dai tour operator come la “destinazione definitiva” , oltre la quale nulla più è in grado di stupire e di emozionare.
Con una presentazione così impegnativa, ovviamente partiamo con lo stato d’animo sbagliato, troppo carichi di aspettative; cosa ancora più pericolosa se si considera che siamo tutti viaggiatori e subacquei compulsivi e che abbiamo già “messo una tacca” su quasi tutte le mete più rinomate.
Come sempre, poi, questi luoghi mitici non sono dietro l’angolo di casa e le 35 ore di viaggio contribuiscono a renderci ancora più esigenti: non avremo mica sofferto tutto questo tempo, strizzati in classe economica, rimpinzati di junk food da aereo e buttati su tristi seggioline in attesa delle coincidenze, per vedere quattro paguri!
L’inizio non è entusiasmante: piove a dirotto e le muck dives in programma non sono all’altezza della fama di paradiso della biodiversità di cui si fregia il luogo, ma dopo una notte di navigazione ci accoglie il sole e un paesaggio che ci lascia senza fiato. Una miriade di minuscoli isolotti di rocce e foresta impenetrabile, completamente disabitati, fra i quali il mare crea lagune di ogni sfumatura di verde e turchese.
Pesa molto meno dei giorni precedenti indossare le mute bagnate e ci tuffiamo pieni di entusiasmo in mezzo a spettacolari giardini di coralli, alcionari, gorgonie giganti e crinoidi multicolori.
È un mare pieno di vita: quantità enormi di pesci di reef ma anche branchi di pelagici: dai barracuda, totalmente indifferenti alla nostra presenza, a tonni e carangidi. Non abbondano gli squali (qualche grigio e qualche pinna nera) ma è quasi una costante l’incontro con il pigro, placido wobbegong, lo squalo tappeto, del quale ci innamoriamo all’istante. All’inizio non riusciamo quasi a distinguerlo, tanto è mimetico, ma poi, l’occhio allenato a riconoscere le buffe frange mascellari, diventiamo esperti a scovarlo, riuscendo anche ad ammirarlo in uno dei suoi rari, eleganti spostamenti.
Ci sono alcune immersioni che rimangono particolarmente nel nostro cuore e nella nostra memoria: il Melissa’s Garden, straordinario pianoro popolato da un’inimmaginabile varietà di coralli duri e molli; Cape Kri, drift dive che termina su una punta nella quale sembra darsi appuntamento tutta la fauna marina.
Siamo anche fortunati e a Manta Sandy, dove le mante si possono ammirare da una distanza non eccessiva ma resa tale dalla scarsa visibilità, ne incontriamo due che hanno “sconfinato” e passano vicinissime a dare un’occhiata allo strano branco di produttori di bolle.
Ma il valore aggiunto della crociera è senz’altro fuori dall’acqua: i tramonti infuocati, la vista dall’alto del paesaggio incantato di isole e canali e la magica Bat Island, poco più di uno scoglio, asilo di una enorme colonia di volpi volanti che si alzano tutte insieme all’arrivo della sera emettendo suggestive grida di richiamo.
Così, nel lunghissimo viaggio di rientro facciamo un bilancio della vacanza e il verdetto è decisamente favorevole: nonostante l’asticella posizionata molto in alto, Raja Ampat l’ha superata in agilità…