Dici Samarcanda ed evochi l’archetipo del viaggio, dai tempi di Marco Polo in poi. Immaginavo vicoli polverosi costellati di moschee semidiroccate, disordinati bazar pervasi dall’aroma di spezie esotiche, canti di muezzin ad ogni angolo. Invece trovo larghi viali ombreggiati, parchi curati in modo maniacale e monumenti restaurati così aggressivamente da farli sembrare costruiti ieri. Pavimentazione perfetta e neanche una cartaccia per terra.
Occorre superare la delusione iniziale per trovare la magia in un tramonto alla moschea di Bibi Kanum o nella luna piena sopra il mausoleo di Tamerlano. E per riconoscere nei volti uzbeki, kirgisi, tartari, mongoli, indoeuropei tracce della storia terribile e affascinante di questa terra di mezzo.