Adoro i deserti. Amo la limpidezza dell’aria priva di umidità, le linee pulite, i colori saturi, i contrasti netti. La vitalità di piante e animali che vi sopravvivono, sfruttando le poche gocce di rugiada e i rari cespugli. Il silenzio e le stellate notturne.
Ho visto molti deserti, ma l’Atacama è per me speciale da quando ne lessi in uno splendido, doloroso racconto di Luis Sepùlveda, che descrive la fioritura delle rose dopo una notte di pioggia, ultimo giorno trascorso con un amico ucciso poco dopo dal regime di Pinochet. I viaggi che inseguono la letteratura non deludono mai e, anche se non è il momento giusto per i fiori, i miei occhi si riempiono di meraviglie: gli incredibili colori della Valle del Arcoiris, le dune nere della Valle de la Luna, gli infernali geyser del Tatio e poi i salares, immense distese di sale popolate da fenicotteri.
Ma nulla è comparabile in bellezza alle lagune dell’altopiano: a oltre quattromila metri, laghi turchesi circondati da vulcani e ghiacciai, sulle cui rive pascolano guanachi dagli occhi dolcissimi. Senza fiato più per l’emozione che per l’altitudine, ringrazio insieme a Sepùlveda tutti gli scrittori capaci di portarci dall’orrore alla poesia.