Lalibela, Gerusalemme d’Etiopia: città santa copta, meta imprescindibile di pellegrinaggio per fedeli di ogni età e sesso. Le leggendarie chiese medioevali scolpite nella roccia, la liturgia immutata dalle origini, il clero iconografico la rendono anche un’attrazione unica per i viaggiatori.
Eppure, mi riesce difficile trovare il senso del sacro fra le discutibili tensostrutture protettive poste dall’UNESCO, nelle moquettes impregnate da pulci e dall’afrore di migliaia di piedi scalzi, fra le orribili luci al neon e gli addobbi pacchiani; non percepisco il misticismo nei preti che fotografano con l’Iphone durante le cerimonie e sbadigliano impartendo benedizioni.
Vedo piuttosto la sacralità in un raggio di luce imprevisto; in un vecchio in meditazione, nei devoti salmodianti al lume di candela, nella quiete notturna delle chiese. Trovo straordinario il viaggio di queste persone da ogni angolo di Etiopia, commovente la loro fede: in fondo, la poesia di Lalibela è qui, nella bianca invasione di pellegrini dagli sguardi estatici e dai sorrisi contagiosi, che si ripete da un millennio identica a se stessa.