Se è indubbio che ogni popolo abbia il proprio linguaggio del corpo, questo raggiunge senz’altro la dignità di un’ arte presso la fiera popolazione Surma dell’Etiopia occidentale.
Attraverso il corpo si esprimono qui bellezza e potenza virile, indifferenza al dolore, rispetto delle tradizioni e talento artistico. Il corpo si dipinge, si scarifica, si spoglia per esaltarlo; si martirizza, anche, in nome di regole estetiche per noi di difficile comprensione. Giovani soldati armati di kalashnikov e decorati con cicatrici impressionanti si aprono a sorrisi quasi infantili di fronte alle nostre macchine fotografiche; attraversando villaggi alieni da ogni modernità scopriamo straordinarie pitture, piattelli labiali e auricolari, fantasiose creazioni di gioielli e copricapi di ogni materiale disponibile. Assistiamo ad una scarificazione ornamentale, eseguita su una ragazza impassibile come una sfinge, poiché ogni segno di debolezza sarebbe disonorevole.
Ma è nella Donga, combattimento rituale che si celebra alla fine della stagione del raccolto, che i guerrieri esibiscono davvero il proprio coraggio. Quasi completamente nudi, i giovani dei vari villaggi si affrontano armati di lunghi bastoni. Scatto qualche foto con circospezione, cercando di evitare i colpi che arrivano da ogni parte, finché uno sparo ci convince che è tempo di abbandonare i festeggiamenti dei vincitori. Ci aspetta un’ultima sorpresa lungo la strada: giovani pastori salassano una vacca per berne il sangue; pratica cruenta ma saggia, fornisce proteine senza sacrificare l’animale. A viaggio concluso, ci è inevitabile meditare sul significato dell’espressione corporea; come davanti a uno specchio, siamo indotti al confronto con il ruolo e i messaggi che il corpo veicola anche nella nostra cultura, in apparenza così distante ed estranea.