Arrivo a Dallol e mi pare che tutto sia già stato scritto e fotografato. Delirio psichedelico, visione onirica, paesaggio marziano; per spiegarne la stranezza sono nati miti e leggende e in verità nemmeno i geologi sono d’accordo nel definirlo. È un vulcano ma al tempo stesso un deserto, una miniera e una sorgente termale. È il luogo più caldo e inospitale della Terra, pericoloso per le esalazioni di gas tossici ma anche per il vicino confine eritreo e per i frequenti assalti ai turisti.
Eppure no. Immutato ma mutevole, fragile ma eterno, Dallol non mostra mai lo stesso volto: è materia viva, in continuo movimento. Pozze smeraldo e turchese, cristalli multicolori, geyser, concrezioni saline si creano e si distruggono sotto la spinta del magma, che intuisco ribollire appena sotto la superficie. Cammino con cautela per non rovinare i gioielli che sto calpestando e mi angoscia pensare alle migliaia di piedi che ormai ogni giorno passano di qui. Ma mi piace pensare che se Dallol ha sopportato e vinto le picconate e le trivellazioni dei cercatori di potassio del passato, neanche le nuove invasioni barbariche di turisti riusciranno a degradare la sua preziosa bellezza.