Il mio immaginario delle isole Cook: mare e spiagge da sogno, donne bellissime con collane di fiori come uscite da un quadro di Gauguin e frutta tropicale all’ombra di una palma. Sebbene sia molto più facile trovare una cocacola che un mango, tutto il resto è una conferma: location ideale per viaggi di nozze costosi e banali, sui quali prospera il turismo locale; luogo in cui è facile dimenticarsi del resto del mondo, peraltro da lì assolutamente remoto.
Ma quando, soffrendo un po’, decido di lasciare la spiaggia per esplorare l’interno, scopro aspetti insoliti di questo popolo poco conosciuto; per esempio il curioso rapporto con i defunti, seppelliti nel giardino di casa oppure ai bordi delle strade, come a voler mantenere con loro un contatto intimo e duraturo. Inaspettato il fervore religioso: minacce di boicottaggio delle aerolinee, che volano la domenica non rispettando il giorno del Signore, sono intimate da violenti cartelli di protesta, sorprendenti per gente che ci appare assai mite. Tuttavia, che i suggestivi “marae”, luoghi di culto precristiano disseminati di monoliti di roccia lavica, siano tuttora venerati come sacri, mi fa sperare che in fondo almeno un po’ dell’antica, tollerante anima polinesiana sia sopravvissuta alla religione dei conquistatori.