A Tubbataha reef pensavo da molto tempo, da quando ne avevo letto come di una delle destinazioni subacquee più spettacolari del mondo. Parco marino da quasi vent’anni, inserito dall’UNESCO nella lista dei siti naturali patrimonio dell’umanità, questo reef quasi completamente sommerso si trova a ovest dell’isola filippina di Palawan, al centro del Coral Triangle, area del mare di Sulu rinomata per la sua straordinaria biodiversità. Parto quindi con enorme entusiasmo verso questa nuova meta, non troppo conosciuta anche per via delle difficoltà di accesso: il parco è infatti agibile solo tre mesi all’anno, quando il mare e il clima concedono una tregua alle perenni turbolenze.
La prima sorpresa che troviamo è proprio meteorologica: navigazione tranquillissima, sole e superficie piatta come quella di un lago. Arriviamo all’alba e mi sento subito approdata in un luogo incantato: acque cristalline, piccoli scogli affioranti coperti di uccelli che qui trovano rifugio e un’unica isoletta con un piccolo faro automatico, del tutto disabitata. Ad accoglierci, due tartarughe che si accoppiano in superficie e un minaccioso squalo tigre che spaventa un po’ il fotografo Randy, sceso in acqua a riprenderle. Dopo questo inizio promettente, le cinque immersioni al giorno in programma ci offrono emozioni di ogni genere. Evoluzioni di eleganti mante nell’atollo Nord, un solitario, enorme martello, il rarissimo pesce vela ma soprattutto un placido squalo balena, insolitamente a passeggio a venti metri di profondità, che ci ha concesso una lunga pinneggiata in sua compagnia prima di allontanarsi verso l’oceano aperto. Poi tartarughe, branchi di carangidi, cernie, napoleoni, tutto il pesce di barriera che si può immaginare e miriadi di squali, dalle famiglie di pinna bianca con microscopici, tenerissimi cuccioli ai branchi di grigi perennemente in caccia. Fondali straordinari con magnifici coralli duri, alcionarie, gigantesche spugne a imbuto, gorgonie colonizzate da crinoidi sgargianti sono quinte perfette per la foto d’ambiente, ma mi diverto anche a cercare di fotografare il delizioso cavalluccio pigmeo, gli innumerevoli nudibranchi, i granchietti a me sconosciuti che la nostra eccellente guida va a scovare con occhio prodigioso.
Le meraviglie marine, che apprezziamo ancora di più nelle acque tropicali deliziosamente calde, sono arricchite dalle attenzioni che riceviamo dall’equipaggio filippino: asciugamani caldi dopo ogni immersione, dolci appena sfornati, succhi di frutta fresca e una cucina degna di un ristorante stellato. Scendiamo a terra un’unica volta, nel solo posto consentito: una lingua di sabbia sulla quale si appoggia la stazione dei rangers, una palafitta spartana dove trascorrono tre mesi all’anno, cercando- con i pochi mezzi che mi pare abbiano a disposizione- di proteggere il parco marino dai pescatori di frodo. Mentre molti li commiserano, io riparto invece con una punta d’invidia nei loro confronti, fantasticando di lunghe giornate di lettura e contemplazione, irraggiungibile dal resto del mondo, immersa nel silenzio totale e circondata dalle infinite sfumature di colore del mare e del cielo.
Ho voglia di lasciare il mio curriculum e cercare di farmi assumere a lavorare qui…